Pma: scopriamo di più sulla Procreazione Medicalmente Assistita

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I percorsi di Procreazione Medicalmente Assistita (PMA) rappresentano l’inizio di un percorso di ridefinizione di sé e di consapevolezza spesso molto faticoso e doloroso, sia per i singoli membri della coppia che per la coppia in generale. Mettere al mondo un figlio è un desiderio che si colora di investimenti affettivi complessi e profondi e la negazione di questo desiderio può innescare sentimenti quali frustrazione, senso di colpa, rabbia, senso di diversità, che spesso generano una crisi di vita. Il senso di inadeguatezza, la messa in discussione di progetti condivisi e la valutazione di alternative al “normale” concepimento possono mettere a dura prova la coppia, che si trova a sperimentare un corredo di emozioni molto impattanti e non sempre esplicitate.

Oltre ad un coinvolgimento fisico di rilievo, i percorsi di Procreazione Medicalmente Assistita (PMA), prevedono l’impiego di risorse psicologiche individuali e di coppia molto considerevoli, specie se già messe alla prova da precedenti aborti oppure da anni di tentativi naturali, carichi di attese e di aspettative poi disilluse.

Ecco, quindi, che il percorso di PMA si colloca all’interno di una storia individuale e di coppia già molto impegnativa a livello emotivo: questo fa sì che, la gravidanza a seguito di Procreazione Medicalmente Assistita sia costellata da reazioni emotivamente spesso diverse, proprio in vista di quanto affrontato per arrivare al concepimento.  Da un lato, la preoccupazione di perdere il bambino può portare, per diversi mesi, a mantenere un atteggiamento di diniego: l’ansia di un possibile fallimento può spingere a un “disinvestimento” emotivo nei confronti del bambino, al fine di proteggersi da un ennesimo “lutto”. Accanto a questo, le future mamme mantengono, spesso, un  atteggiamento ipervigile, che porta a un costante stato di allerta a fronte di ogni sintomo fisico che possa sfuggire al controllo. Sono in costante allarme per un possibile segnale che annunci un aborto imminente, perché incredule di riuscire, dopo tanta fatica, a avverare il proprio progetto generativo. Dall’altro lato, spesso, la fatica fatta per avere un figlio, fa vivere la gravidanza prima, e il bambino, poi, come un premio, rispetto a cui possono che essere legittimati soltanto sentimenti come gratitudine e felicità: questo porta a uno sforzo costante a distanziarsi, se non addirittura negare, i normali sentimenti di inquietudine e ambivalenza che si presentano non solo nel momento dell’attesa, quanto soprattutto nel post partum.  Sono spesso genitori che si attribuiscono l’aspettativa di dover essere “perfetti” e mal tollerano il gap che può presentarsi tra il proprio immaginario e il reale.

Inoltre, la frequente  decisione di non comunicare a nessuno la propria scelta, colloca il percorso di PMA all’interno di un segreto, impedendo la vicinanza affettiva e supportava delle persone care e costringendo la coppia a un vissuto di solitudine sociale.

La letteratura e l’esperienza clinica mostrano come la possibilità di narrare le fatiche emotive che hanno caratterizzato, non solo il percorso di PMA, ma anche il periodo precedente, possa fornire all’individuo e alla coppia, un’occasione di riprendere contatto con tutto il corredo emozionale della gravidanza, proteggendo dal “disinvestimento per paura” (in gravidanza) e dall’”iperinvestimento” sul ruolo genitoriale dopo il parto.

È un’occasione di narrare a sé e al partner le diverse sfumature emozionali, rendendole esplicite e quindi legittimandole: questo percorso di “disvelamento” emozionale favorisce una più cosciente transizione alla genitorialità e un contatto più consapevole con una dimensione di autenticità, fondamentale nella relazione madre-bambino-padre.

Così come ogni individuo ha la propria “valigia” piena di tutte le esperienze relazionali  avute fino a quel momento, dalle relazioni primarie con i propri genitori alle scelte e conoscenze successive, anche la coppia, nel suo costituirsi, ha la propria: tra tutti i momenti importanti e emotivamente significativi che convogliano in questa valigia, che poi sarà un ottimo corredo per il nascituro, c’è anche la PMA. Così come negare le proprie esperienze infantili non permette l’elaborazione e, quindi, la possibilità di un pensiero costruttivo e consapevole, allo stesso modo, la PMA, non deve rappresentare per la coppia un tabù. La clinica insegna che i segreti familiari rappresentino un fattore di rischio, creando non detti e impliciti e bloccando lo spazio elaborativo e di costruzione positiva di significati. Risulta, invece, protettivo legittimare i propri vissuti e le proprie scelte, anche in caso di PMA. Ai bambini si raccontano le storie e noi stessi siamo costituiti da storie. A pensarci, sapere di nascere da una mamma e un papà che tanto ci  hanno desiderato e che hanno superato fatiche e dolori e difficoltà pur di poterci  abbracciare, rappresenta, per il bambino che arriverà, una storia vera e bellissima.

Roberta Salerno – Psicoterapeuta